A cura di Jerónimo Pizarro. L'edizione italiana, a cura di Giulia Lanciani, è stata appena pubblicata da Mondadori.
Fernando Pessoa è una figura altissima, enigmatica e
difficilmente classificabile, del Novecento letterario portoghese e della
modernità in genere, esempio sconcertante di come la scissione dell'io possa
dar luogo a esiti luminosi sul piano della creatività poetica e della
immaginazione filosofica. In Italia la sua fortuna editoriale è dovuta al
lavoro pionieristico e appassionato di Antonio Tabucchi che ha curato e
tradotto per primo (insieme a Maria José de Lancastre) le sue opere più
celebri.
Scrivere, per Pessoa, è spacciarsi per un altro, portare sulla scena la propria
più profonda interiorità in voci e nomi molteplici e differenti.
«Il poeta è un fingitore. / Finge così completamente / da fingere che è dolore
/ il dolore che davvero sente» leggiamo in Autopsicografia, una sorta di
inno alla menzogna, alla simulazione artistica, alla dissociazione e allo
sdoppiamento di sé. La sua, in definitiva, è un'esaltazione dell'annientamento
e del suicidio dell'io, la cui immagine simbolica più efficace è lo specchio
infranto che, proprio nel restituire non volti ma maschere, porta alla suprema
autoaffermazione e, soprattutto, alla conoscenza del vero.
Una tale dichiarazione di poetica induce Pessoa a compiere una operazione
letteraria spericolata e affascinante: quella di moltiplicarsi e rifrangersi in
una vasta gamma di personalità artistiche fittizie, i famosi eteronimi (Álvaro
de Campos, Bernardo Soares, Ricardo Reis, Alberto Caeiro, per citare i più
celebri), ciascuno dotato di una biografia, di un aspetto esteriore, ma anche
di una specifica caratteristica politica, intellettuale e poetica, nonché di un
peculiare rapporto con l'ortonimo, ossia con il poeta ermetico e metafisico che
si chiama Fernando Pessoa.
Pochissime sono le opere che Pessoa ha pubblicato in vita. La maggior parte
degli scritti sono stati trovati dopo la morte in un baule, una specie di arca
prodigiosa dalla quale sono stati estratti, con criteri estremamente incerti,
soggettivi, e spesso vertiginosamente arbitrari, i testi che il mondo intero
ammira. Quelli qui presentati da una delle più importanti lusitaniste italiane,
Giulia Lanciani, sono una scelta molto cospicua tratta dalla raccolta di oltre
seicento testi, in gran parte del tutto inediti, pubblicati in Portogallo nel
2006 dal filologo colombiano Jerónimo Pizarro, sapientissimo lettore delle
carte pessoane. Si tratta dunque, come per Il libro dell'inquietudine,
di una costruzione congetturale, dotata tuttavia della massima autorevolezza,
riguardante un nucleo tematico cruciale, quello del genio e della follia, sul
quale Pessoa si è esercitato, per non dire accanito, per tutta la vita, ma con
particolare intensità tra il 1907 e il 1914. Che il tema sia ineludibile
risulta con chiarezza dal fatto che lo stesso Pessoa dichiara in una lettera
all'amico Casais Monteiro - lettera che è in realtà una sorta di spietata
autoanalisi - l'intrinseco legame tra la propria follia (un «profondo tratto d’isteria»)
e l’origine degli eteronimi. Attraverso la conoscenza della letteratura
psichiatrica del suo tempo, di Lombroso in particolare, il discorso
psichiatrico di Pessoa si alimenta in questo nuovo libro di altri discorsi -
storici, culturali, estetici, filosofici e letterari - per elaborare una
interpretazione della genialità artistica come patologia, disadattamento e
degenerazione, in un rapporto di stretta parentela, anche se non mancano
sottili e significative differenze, con le manifestazioni della follia.
Ciò che permette a Giulia Lanciani di affermare, nel suo saggio introduttivo,
che questi sono «scritti importantissimi all'interno del sistema pessoano, sia
perché conferiscono una nuova dimensione al "caso Pessoa",
all'aspetto clinico che lo segna, sia perché si configurano come una nuova via
per rivisitare tutta la sua produzione: in definitiva, per tentare di cogliere
il complesso disegno poetico-esistenziale che soggiace alla costruzione testuale».
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