giovedì 16 dicembre 2010

La mia patria è la lingua portoghese...

di Fernando Pessoa

“Non piango per nessuna cosa che la vita porti o rapisca. Invece ci sono pagine di prosa che mi hanno fatto piangere. Mi ricordo, come se lo vedessi, la sera in cui, da bambino, lessi per la prima volta in un’antologia il celebre passo di Vieira sopra re Salomone: “…Eresse un palazzo…” E lessi fino alla fine, tremante, confuso; poi scoppiai in lacrime felici, come nessuna felicità reale mi farà piangere, come nessuna tristezza della vita mi farà imitare. Quel movimento ieratico della nostra chiara lingua maestosa, quell’esprimersi delle idee in parole inevitabili – scorrere di acqua perché esiste declivio, quello stupore vocalico in cui i suoni sono colori ideali: tutto questo mi offuscò per istinto come una grande emozione politica. E, l’ho detto, piansi: oggi, ripensandoci, piango ancora. Non è, no, la nostalgia dell’infanzia, della quale non ho nostalgia; è la nostalgia dell’emozione di quel momento, il rimpianto di non poter più leggere per la prima volta quella grande certezza sinfonica.
Non ho alcun sentimento politico o sociale. Eppure ho, in un certo senso, un alto sentimento patriottico. La mia patria è la lingua portoghese. Non m’importerebbe niente se invadessero od occupassero il Portogallo, a condizione che non mi disturbassero personalmente. Ma odio, con un odio vero, con l’unico odio che sento, non chi scrive male il portoghese, non chi non sa la sintassi, non chi scrive con un’ortografia semplificata, ma la pagina scritta male, come se fosse una persona vera; la sintassi sbagliata come se fosse qualcuno da picchiare; l’ortografia senza ipsilon, come uno sputo diretto che mi fa schifo indipendentemente da chi sputa.
Si, perché anche l’ortografia è una persona. La parola è completa se vista e sentita. E la gala della traslitterazione greco-romana me la veste col suo vero manto regio, per il quale è signora e regina”.

Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine, Milano, Impronte/Feltrinelli, 1996, p. 252.

José de Almada Negreiros (1893 – 1970)
Retrato de Fernando Pessoa, 1964 - Olio su tela
Colecção Centro de Arte Moderna, Fundação Calouste Gulbenkian
Copyright © Laura Za

Minha patria é a lingua portuguesa


“Não chóro por nada que a vida traga ou leve. Há porém paginas de prosa me teem feito chorar. Lembro-me, como do que estou vendo, da noute em que, ainda creança, li pela primeira vez numa selecta, o passo celebre de Vieira sobre o Rei Salomão, "Fabricou Salomão um palacio..." E fui lendo, até ao fim, tremulo, confuso; depois rompi em lagrimas felizes, como nenhuma felicidade real me fará chorar, como nenhuma tristeza da vida me fará imitar. Aquelle movimento hieratico da nossa clara lingua majestosa, aquelle exprimir das idéas nas palavras inevitaveis, correr de agua porque ha declive, aquelle assombro vocalico em que os sons são cores ideaes - tudo isso me toldou de instincto como uma grande emoção politica. E, disse, chorei; hoje, relembrando, ainda chóro. Não é - não - a saudade da infancia, de que não tenho saudades: é a saudade da emoção d'aquelle momento, a magua de não poder já ler pela primeira vez aquella grande certeza symphonica.
Não tenho sentimento nenhum politico ou social. Tenho, porém, num sentido, um alto sentimento patriotico. Minha patria é a lingua portuguesa. Nada me pesaria que invadissem ou tomassem Portugal, desde que não me incommodassem pessoalmente, Mas odeio, com odio verdadeiro, com o unico odio que sinto, não quem escreve mal portuguez, não quem não sabe syntaxe, não quem escreve em orthographia simplificada, mas a pagina mal escripta, como pessoa própria, a syntaxe errada, como gente em que se bata, a orthographia sem ípsilon, como escarro directo que me enoja independentemente de quem o cuspisse”.

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